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UN INCUBO



Da lontano… vedo un Vecchio! S’avvicinava. In principio non riuscivo a vedere bene. C’era nebbia. Vedevo solo una figura appena accennata che arrancava faticosamente. Poi, mano a mano, l’ho vista meglio. Chi era? Davanti a me quella figura si precisava. Era alta, con una tunica che gli arrivava fino ai piedi. Scalzi. Una volta quella tunica, mi son detto, doveva essere stata bianca ma ora era tutta impiastricciata di sangue e d’olio di motore. Il Vecchio sembrava più alto del normale anche se piegato malamente dal peso degli anni che si portava addosso. Camminava con passi trascinati e incerti. Sembrava uno scheletro. Con la pelle che, a brandelli, si staccava dalle ossa. A quel Vecchio gli è rimasto poco tempo da campare, subito ho pensato. L’ho guardato meglio. Portava capelli lunghi e bianchi che gli arrivavano sulle spalle ma sfilacciati e lerci come una latrina. E sicuramente erano pieni di pidocchi! Il suo volto metteva paura. Le occhiaie gli calavano sulle guance. Il naso era schiacciato come quello d’un pugilatore da cui uscivano ciuffi di peli lunghi e sporchi. Gli occhi erano spenti. I denti neri, consumati dalla malattia. E la bava gli colava dalla bocca.

 

Era davvero una figura ripugnante! E la puzza! Una puzza di marcio e di decadimento. Una puzza come quella di uno morto già da un pezzo. Con una mano trascinava un’asta con le rotelle da dove penzolava una flebo piena d’un liquido giallastro con un tubicino che gli entrava nel braccio tumefatto. Faceva schifo. Io non sapevo che fare. Di fronte a tanto disfacimento mi veniva da vomitare. Sembrava la macabra rappresentazione della corruzione della morte. No, non mi faceva pena, come di solito mi fanno i vecchi. Quel Vecchio aveva un’espressione cattiva e crudele. Era attaccato alla vita. Non si voleva arrendere, si vedeva. Resisteva. Io, invece, volevo fuggire ma la paura mi bloccava. Poi ho visto che con l’altra mano trascinava delle corde a cui erano legati… ma… ma… che vedo? Sono uomini! Ho esclamato, inorridito. Uomini che procedevano a fatica dietro al Vecchio. Come schiavi erano legati per il collo alle corde che lui tirava. Chi sono quei poveri disgraziati? Mi sono domandato. Mi sono avvicinato per vedere meglio, senza, però, andargli troppo appresso. Non sopportavo la sua puzza. Quando la nebbia s’è un po’ allentata ho visto quello che mai avrei voluto vedere. Gli uomini più lontani erano straccioni con la faccia sporca di carbone. Uomini, donne e bambini… non c’era differenza. Tutti legati per il collo e tirati come animali. Un nodo li soffocava. Più avanti… un altro gruppo di persone con le tute. Erano blu, mi pare di ricordare. Tutti avevano degli strani tic. Gesti senza senso, ripetuti come se in vita non avessero fatto che quel movimento. Ma la cosa più sconvolgente era che ai piedi di tutti, minatori o operai che fossero, come le palle di ferro dei forzati, erano legati dei cadaveri. Venivano trascinati.

 

Questo è un girone dell’Inferno! Mi sono detto. Mancano le fiamme ed è perfetto. Chi è quel Vecchio così crudele? Perché tutto quell’odio? A un’altra corda, invece, erano legati delle persone, questa volta tutte azzimate. Perché quella differenza? Anche loro, però, erano legate per il collo. Erano persone in giacca e cravatta e la penna in mano. Scrivevano frasi su taccuini consumati perché… non lo so dire. Come si fa con una corda al collo a scrivere qualcosa? Erano come quegli intellettuali che, di fronte al mondo che va rotoli, si voltano dall’altra parte e scrivono di niente. Infine… gruppi di giovani alla moda. Gli uomini con un aspetto spregiudicato, le donne… con tacco 12 e cosce di fuori. Tutti con un atteggiamento sicuro e arrogante. Sembravano contenti. Parlavano, ridevano, cantavano. Ma non basta. Con il cellulare, si scambiavano pareri su qualcosa che qualcun altro aveva scritto. Saranno creativi o pubblicitari, ho pensato. Costruttori di sogni irrealizzabili. Anche a loro la corda, però, stringeva il collo. Ma non ci badavano. Qualche volta, quando il Vecchio la tirava con più forza, rischiava di soffocarli ma… una scrollatina di spalle, un occhio rigirato, un urletto da sfigato e poi… niente, tutto come prima. Sembravano contenti così com’erano. E tutti avevano il volto dipinto di bianco come tanti Pulcinella. Chissà perché? La differenza tra le due file, però, era evidente. Mi sembrava che… da una parte l’umanità dolente e dall’altra gli indifferenti. Da una parte i morti veri… dall’altra quelli viventi.

 

Il Vecchio, però, nemmeno li guardava. Tutti erano suoi schiavi. Ma non era finita qui. Intorno alle file degli uomini legati per il collo stavano di guardia degli esseri che non saprei come chiamare. Erano uomini, si, ma con la testa di cane e la coda di maiale. E abbaiavano! Correvano su e giù come un branco di cani per tenere insieme il gregge del Vecchio. E se qualcuno provava a fuggire… lo sbranavano. Ho visto una donna che, dalla prima fila, era riuscita a liberarsi quando uno di quegli esseri, metà uomo e metà cane, l’ha azzannata. Con i suoi denti aguzzi in un attimo l’ha sbranata. Alla fine del macabro pasto, con la bocca lordata di merda di quegli intestini in carestia, s’è avvicinato al Vecchio per ricevere una carezza sulla testa. Scodinzolando. Dentro di me, intanto, cresceva un odio sconfinato per quel Vecchio lurido e crudele. Ma anche per quelle figure dal volto di Pulcinella che, seppur incatenate, sembravano contente della loro condizione di forzati. Ma ancor di più l’odio mi cresceva nel vedere quei poveri disgraziati che erano costretti a trascinare tutti quei cadaveri in disfacimento. E la rabbia! Certo, la rabbia per quel Vecchio che voleva tenere il mondo sotto ai suoi piedi. Ma lui chi era? Che voleva? Non si rendeva conto che gli mancava un niente per crepare?

 

Poi… sento un gran rumore alle mie spalle. Mi giro e vedo una folla urlante che, di corsa, andava incontro al Vecchio. Lo vogliono ammazzare, mi dico tutto elettrizzato. Ma era solo una speranza. Invece poi m’accorgo che era una folla adorante. Pronta a inginocchiarsi al fascino del suo potere. Forza, fate in fretta! Allora grida subito il Vecchio ai suoi cani pastori. Quelli, ligi e obbedienti, trascinano una siluette di cartapesta di un giovane muscoloso e oliato e la piazzano davanti al Vecchio. Non poteva farsi vedere dai suoi fans così com’era veramente. Aveva bisogno d’un travestimento. Solo la flebo spuntava da dietro la siluette ma tanto a quella folla… che gliene fregava! E allora in tanti si mettono in posa vicino all’immagine del giovane palestrato per scattare un fotografia. Vogliono un ricordo da portarsi via. Lo metteranno, in bella mostra nel salotto, così potranno dire che loro l’hanno conosciuto. Io ero sconcertato. Com’era possibile che quella folla non vedesse? Non vedesse quello che c’era dietro la siluette. Non vedesse il Vecchio ormai morente. Non vedesse le file degli schiavi incatenati. Non vedesse i cadaveri trascinati. Non vedesse gli uomini-cane dall’appetito spropositato. E mentre tutti volevano essere immortalati risuonava una risata forte e agghiacciante. A bocca larga. Con caverne scure che s’aprivano tra i denti. Una risata cinica e crudele. Era il Vecchio, il Vecchio Capitale. No, no, io non l’accetto! Allora mi son messo a gridare. Io ti odio, Vecchio! Si, ti odio e ti vorrei ammazzare. La mia rabbia mi contorceva le budella. La dovevo liberare. Una rabbia più forte del pensiero. Più forte della paura. Una rabbia animale! Ma… era come se avessi gridato al vento. Nessuno m’ascoltava e tutti continuavano a fotografare. Solo il Vecchio, soddisfatto, mi ha lanciato un’occhiata di sfuggita come a dire… Povero disgraziato! Sono corso in bagno e ho vomitato.


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