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ALCUNE DOMANDE AI REDUCI DELLE STAGIONI DEL ‘900

 




…Potrebbe capitare che tu, lettore, voglia domandare, a me o a qualcun altro di quei strani personaggi, come ne siamo usciti da quegli anni. Potrebbe capitare. Potrebbe anche capitare, però, che noi fossimo un tantino reticenti, che cercassimo di scansare la risposta, che facessimo, insomma, come ci capita da un po’ di tempo, orecchie da mercante. Potrebbe capitare che dopo un lungo tira e molla, a fronte delle tue insistenze, ci decidessimo a parlare e potrebbe capitare che ti rispondessimo così: vivendo! Allora potrebbe capitare che tu esclamassi: ma che vuol dire? Noi, sempre continuando in quell’ipotesi, potremmo insistere dicendo che si, ne siamo usciti solo vivendo e potrebbe capitare che aggiungessimo anche che ne siamo usciti come abbiamo potuto e soprattutto come abbiamo saputo e che per noi solo questo era l’importante. Potremmo anche completare l’argomentazione confessandoti con tutto il cuore che a tutto il resto non sappiamo dare una ragione. Allora potrebbe capitare che tu, preso da una curiosità che non si spiega e diventando, a dir il vero, oltremodo impertinente, ci domandassi se mai ci siamo chiesti del perché sia finita quella stagione. E potrebbe capitare che noi, sbuffando come tori nell’arena, ti rispondessimo che si, ce lo siamo chiesti ma che mai abbiamo trovato uno straccio di spiegazione. Potrebbe capitare che ti dicessimo che potremmo sciorinare, se proprio vuoi essere preso per il culo, mille dotte argomentazioni ma tutte ci lascerebbero fuori. Tutte non spiegherebbero la nostra personale condizione. A questo punto potrebbe capitare che tu, non avendo ancora capito niente, continuassi a domandarci se tutto questo ci sia sufficiente, insomma che ci basti. E noi, visto che ormai ci siamo, ti potremmo rispondere che certo, non ci basta ma che altro potremmo fare? Potrebbe accadere che continuassimo dicendoti che non abbiamo più le forze e ancor meno gli strumenti per capire perché quel secolo crudele è crollato in testa al mondo spazzando tutte le sue certezze e, quello che è ancor più grave, persino i suoi dubbi più sinceri, quelli che in quegli anni avevano fatto capolino, quelli che avevano messo in discussione una tradizione di cent’anni, ma, bada bene, per rinnovarla e non certo per negarla. E potrebbe capitare che noi insistessimo dicendo: anche i dubbi, si! Via, spazzati via sotto i colpi della scopa della Storia, dalla plastica d’una modernità che sempre più si rifugiava nelle curve d’un tempo arrotolato, spacciato per nuovo ma coniugato solo al passato. Potrebbe capitare alfin che concludessimo che non c’è modo né ragione di spiegare la devastazione dei nostri animi e che non c’è scienza nè coscienza che, in fondo, a questo punto tiene. Che oggi l’unica nostra condizione non può che essere quella di una schizofrenica estraniazione. E allora potrebbe capitare che tu continuassi a domandare: in questo modo come fate a campare? E noi potremmo insistere nel dirti che l’unica soluzione è vivere dal di fuori, fuori da questa società che, a forza, ci contiene, ci imprigiona. L’unica cosa certa che sappiamo è che la nostra generazione ha perso. E potrebbe capitare che ti dicessimo di non chiederci cosa abbiamo perso perché non te lo sapremmo nemmeno dire perché quello che avevamo conquistato ancora non l’avevamo sperimentato. Siamo consapevoli che abbiamo perso qualcosa di importante, di grande, di entusiasmante, ma non sappiamo cosa. A questo punto potrebbe capitare che tu ci chiedessi se comunque qualcosa abbiamo combinato, se, insomma, qualcosa abbiamo cambiato. E noi ci vedremmo costretti, chiusi in un sorriso amaro, a risponderti che no, non abbiamo cambiato un accidente e che, anzi, anche noi portiamo una responsabilità di questo disfacimento. E poi, presi da una rabbia che non si spiega, potremmo anche affermare che chi dice di si vuol dire che di poco s’accontenta e vuol a tutti i costi dare un senso al sacrificio delle loro vite. E potrebbe capitare che concludessimo poi, alzando un po’ la voce, che noi volevamo ribaltare il mondo e non certo dargli un’aggiustatina. Tu potresti, alfine, visto che dal nostro rapporto col passato non ci cavi un ragno dal buco, chiederci dell’oggi che pensiamo. Potrebbe capitare che noi, tanto per cambiare, ci vedessimo costretti a rispondere che non ci capiamo niente e che, per quanto ci sforziamo, non siamo capaci di comprendere quello che succede, che ci resta solo lo stupore e un’unica domanda sconsolata: com’è che siamo sprofondati in un mondo così crudele? Ma no! Potremmo anche dirti che, invece, qualcosa c’è rimasto e che questo qualcosa è una rabbia smisurata e un odio animale ma entrambi in forma fossile ed esercitati dal di fuori. Potremmo raccontarti che questi due nostri sentimenti ci fanno credere ancora in una identificazione che si misura nella dimensione del plurale. Da fuori, è vero; contro, è vero; nella disperazione, è vero; ma è lotta per la sopravvivenza d’una coscienza che si intestardisce a voler pronunciare, ma chissà quando, una parola che ormai è stata cancellata da ogni dizionario: NOI!

 

Di fronte a questo nostro ultimo fiotto di respiro, allora, potrebbe capitare che tu ci incalzassi con l’ultima domanda: che vi resta da fare? E noi, sicuri del fatto nostro, potremmo con semplicità risponderti che non ci resta che aspettare. Ma come? Aspettare? Potrebbe essere la tua esclamazione perchè in questa risposta tu non ci riconosci. Allora, presi da forte commozione per il tuo atto di considerazione, potrebbe capitare che ti spiegassimo che si, non ci resta altro che aspettare che qualcosa accada, qualcosa che noi non abbiamo, però, il potere di prevedere, che qualcosa risorga dalle ceneri della nostra incapacità, qualcosa che travalichi le nostre intelligenze perché ormai noi siamo diventati inadeguati, siamo inchiodati in categorie che non servono più a niente. Siamo vecchi, vecchi nel cervello e l’unica cosa che possiamo mettere sul piatto, a disposizione di chi ne vuol fare un qualche uso, foss’anche sconsiderato, sono quella rabbia e quell’odio irrazionale che nessuno oggi vuol capire. Non è gran che ma questo potrebbe essere il nostro piccolo contributo anche perchè è solo quello che abbiamo. Potrebbe capitare, però, che ti dicessimo che, in fondo, non c’aspettiamo niente dal futuro e che l’unica cosa che aspettiamo è che arrivi il nostro tempo, che la morte ci porti via perché non riusciamo più a gettare lo sguardo troppo lontano. Adesso il giorno è sempre giorno pieno ma per noi è notte permanente e l’alba è solo un patetico ricordo di quando la Terra, in un tempo ormai remoto, girava su se stessa. Questo potremmo dirti, si. Ma ricordati questa è solo un’ipotesi, quello che potrebbe capitare.

 

Ma potrebbe anche capitare, per un caso strano della Storia, che le parole che abbiamo pronunciato fino a questo momento diventassero vecchie d’un sol colpo. Che diventassero un grumo di panna acida, un bolo putrescente di merda e di pensiero. Potrebbe capitare che la Storia, dopo decenni di cammino rettilineo, riaccendesse i suoi motori un po’ ingrippati e facesse una repentina svolta ad U per riprendere la sua marcia. Potrebbe capitare che all’ordine del giorno tornasse la rivolta. Oggi e non domani. Come urgenza. Come necessità. Come pratica quotidiana. Certo, potrebbe capitare e tutto questo alla faccia delle mille bocche spalancate che ormai s’erano convinte che quest’orizzonte non si potesse oltrepassare. Alla faccia di quei poveri coglioni, e ce ne sono tanti, credimi, che ormai di quell’orizzonte se n’erano appropriati, chi per ignoranza, chi per interesse personale, chi per tradimento, chi per incapacità a sognare. Ma allora a questo punto tu potresti domandarci: se succedesse voi che fareste? Bella domanda! Noi proveremmo a dirti che, sulle ali di un entusiasmo rinnovato e presumibilmente colpiti da una frenesia infantile che non ci s’addice, non ci staremmo a pensare un sol momento. Si! Ci tufferemmo nel vortice del ribaltamento. Ci immergeremmo nel caos del movimento. E potrebbe anche capitare che tornassimo a sognare. Fianco a fianco ai ragazzi senza barba, tenendoci per mano con gli ultimi del mondo, abbracciandoci con i nuovi costruttori di pensiero non convenzionale. Ma tu potresti chiederci, e non senza ragione, se non ci sentiremmo inadeguati, fuori posto e persino indesiderati. E noi potremmo risponderti che si, certo, non ci sentiremmo completamente a casa nostra ma quella ormai l’abbiamo lasciata da troppo tempo e anche se ci tornassimo troveremmo solo un mucchio di macerie. Potremmo continuare dicendoti che ricominceremmo a studiare, a riprendere in mano i nuovi libri e, come studenti diligenti, a sottolineare le parole. Certo ci metteremmo più degli altri perché ormai il cervello s’è arrugginito, invischiato in categorie ormai incartapecorite ma non ci mancherebbe, penso, né l’umiltà e tanto meno la voglia d’imparare. Insomma torneremmo a scuola dalla gente. Ascolteremmo, parteciperemmo, sorrideremmo, piangeremmo. Ci saremmo. Un po’ in disparte, questo è naturale, perché altre sarebbero le generazioni ma… Ma? Potresti allora domandare. Ma la nostra adesione sarebbe incondizionata, ti risponderemmo, anche se non capissimo tutto quanto. E alfine tu potresti domandare se quello che abbiamo detto e fatto non valga un accidente. E noi semplicemente ti risponderemmo che c’è un tempo per ogni cosa e i tempi sono diversi gli uni dagli altri. Ti risponderemmo che i sentimenti, i pensieri, le sensazioni, le disperazioni, gli entusiasmi cambiano e la loro autenticità si misura nel tempo dato e non in astratto fuori dalla Storia. Quindi non solo sterile testimonianza bensì prodromi di cambiamento, già. E allora tanto per finire, alla fonte del re c’erano tre oche che andavano a bè. Tre oche, due oche, un ochino e… un ochè.

 

                    Nota finale del libro LA FARFALLA E L’APE REGINA di Item Maestri – Robin edizioni

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