…Potrebbe
capitare che tu, lettore, voglia domandare, a me o a qualcun altro di quei
strani personaggi, come ne siamo usciti da quegli anni. Potrebbe capitare.
Potrebbe anche capitare, però, che noi fossimo un tantino reticenti, che
cercassimo di scansare la risposta, che facessimo, insomma, come ci capita da
un po’ di tempo, orecchie da mercante. Potrebbe capitare che dopo un lungo tira
e molla, a fronte delle tue insistenze, ci decidessimo a parlare e potrebbe
capitare che ti rispondessimo così: vivendo! Allora potrebbe capitare che tu
esclamassi: ma che vuol dire? Noi, sempre continuando in quell’ipotesi,
potremmo insistere dicendo che si, ne siamo usciti solo vivendo e potrebbe
capitare che aggiungessimo anche che ne siamo usciti come abbiamo potuto e
soprattutto come abbiamo saputo e che per noi solo questo era l’importante.
Potremmo anche completare l’argomentazione confessandoti con tutto il cuore che
a tutto il resto non sappiamo dare una ragione. Allora potrebbe capitare che
tu, preso da una curiosità che non si spiega e diventando, a dir il vero, oltremodo
impertinente, ci domandassi se mai ci siamo chiesti del perché sia finita
quella stagione. E potrebbe capitare che noi, sbuffando come tori nell’arena,
ti rispondessimo che si, ce lo siamo chiesti ma che mai abbiamo trovato uno
straccio di spiegazione. Potrebbe capitare che ti dicessimo che potremmo
sciorinare, se proprio vuoi essere preso per il culo, mille dotte
argomentazioni ma tutte ci lascerebbero fuori. Tutte non spiegherebbero la
nostra personale condizione. A questo punto potrebbe capitare che tu, non
avendo ancora capito niente, continuassi a domandarci se tutto questo ci sia
sufficiente, insomma che ci basti. E noi, visto che ormai ci siamo, ti potremmo
rispondere che certo, non ci basta ma che altro potremmo fare? Potrebbe
accadere che continuassimo dicendoti che non abbiamo più le forze e ancor meno
gli strumenti per capire perché quel secolo crudele è crollato in testa al
mondo spazzando tutte le sue certezze e, quello che è ancor più grave, persino
i suoi dubbi più sinceri, quelli che in quegli anni avevano fatto capolino,
quelli che avevano messo in discussione una tradizione di cent’anni, ma, bada
bene, per rinnovarla e non certo per negarla. E potrebbe capitare che noi
insistessimo dicendo: anche i dubbi, si! Via, spazzati via sotto i colpi della
scopa della Storia, dalla plastica d’una modernità che sempre più si rifugiava
nelle curve d’un tempo arrotolato, spacciato per nuovo ma coniugato solo al
passato. Potrebbe capitare alfin che concludessimo che non c’è modo né ragione
di spiegare la devastazione dei nostri animi e che non c’è scienza nè coscienza
che, in fondo, a questo punto tiene. Che oggi l’unica nostra condizione non può
che essere quella di una schizofrenica estraniazione. E allora potrebbe
capitare che tu continuassi a domandare: in questo modo come fate a campare? E
noi potremmo insistere nel dirti che l’unica soluzione è vivere dal di fuori,
fuori da questa società che, a forza, ci contiene, ci imprigiona. L’unica cosa
certa che sappiamo è che la nostra generazione ha perso. E potrebbe capitare
che ti dicessimo di non chiederci cosa abbiamo perso perché non te lo sapremmo
nemmeno dire perché quello che avevamo conquistato ancora non l’avevamo
sperimentato. Siamo consapevoli che abbiamo perso qualcosa di importante, di
grande, di entusiasmante, ma non sappiamo cosa. A questo punto potrebbe
capitare che tu ci chiedessi se comunque qualcosa abbiamo combinato, se, insomma,
qualcosa abbiamo cambiato. E noi ci vedremmo costretti, chiusi in un sorriso
amaro, a risponderti che no, non abbiamo cambiato un accidente e che, anzi,
anche noi portiamo una responsabilità di questo disfacimento. E poi, presi da
una rabbia che non si spiega, potremmo anche affermare che chi dice di si vuol
dire che di poco s’accontenta e vuol a tutti i costi dare un senso al
sacrificio delle loro vite. E potrebbe capitare che concludessimo poi, alzando
un po’ la voce, che noi volevamo ribaltare il mondo e non certo dargli
un’aggiustatina. Tu potresti, alfine, visto che dal nostro rapporto col passato
non ci cavi un ragno dal buco, chiederci dell’oggi che pensiamo. Potrebbe
capitare che noi, tanto per cambiare, ci vedessimo costretti a rispondere che
non ci capiamo niente e che, per quanto ci sforziamo, non siamo capaci di
comprendere quello che succede, che ci resta solo lo stupore e un’unica domanda
sconsolata: com’è che siamo sprofondati in un mondo così crudele? Ma no!
Potremmo anche dirti che, invece, qualcosa c’è rimasto e che questo qualcosa è
una rabbia smisurata e un odio animale ma entrambi in forma fossile ed
esercitati dal di fuori. Potremmo raccontarti che questi due nostri sentimenti
ci fanno credere ancora in una identificazione che si misura nella dimensione
del plurale. Da fuori, è vero; contro, è vero; nella disperazione, è vero; ma è
lotta per la sopravvivenza d’una coscienza che si intestardisce a voler
pronunciare, ma chissà quando, una parola che ormai è stata cancellata da ogni
dizionario: NOI!
Di
fronte a questo nostro ultimo fiotto di respiro, allora, potrebbe capitare che
tu ci incalzassi con l’ultima domanda: che vi resta da fare? E noi, sicuri del
fatto nostro, potremmo con semplicità risponderti che non ci resta che
aspettare. Ma come? Aspettare? Potrebbe essere la tua esclamazione perchè in
questa risposta tu non ci riconosci. Allora, presi da forte commozione per il
tuo atto di considerazione, potrebbe capitare che ti spiegassimo che si, non ci
resta altro che aspettare che qualcosa accada, qualcosa che noi non abbiamo,
però, il potere di prevedere, che qualcosa risorga dalle ceneri della nostra
incapacità, qualcosa che travalichi le nostre intelligenze perché ormai noi
siamo diventati inadeguati, siamo inchiodati in categorie che non servono più a
niente. Siamo vecchi, vecchi nel cervello e l’unica cosa che possiamo mettere
sul piatto, a disposizione di chi ne vuol fare un qualche uso, foss’anche
sconsiderato, sono quella rabbia e quell’odio irrazionale che nessuno oggi vuol
capire. Non è gran che ma questo potrebbe essere il nostro piccolo contributo
anche perchè è solo quello che abbiamo. Potrebbe capitare, però, che ti
dicessimo che, in fondo, non c’aspettiamo niente dal futuro e che l’unica cosa
che aspettiamo è che arrivi il nostro tempo, che la morte ci porti via perché
non riusciamo più a gettare lo sguardo troppo lontano. Adesso il giorno è
sempre giorno pieno ma per noi è notte permanente e l’alba è solo un patetico
ricordo di quando la Terra, in un tempo ormai remoto, girava su se stessa.
Questo potremmo dirti, si. Ma ricordati questa è solo un’ipotesi, quello che
potrebbe capitare.
Ma
potrebbe anche capitare, per un caso strano della Storia, che le parole che
abbiamo pronunciato fino a questo momento diventassero vecchie d’un sol colpo.
Che diventassero un grumo di panna acida, un bolo putrescente di merda e di
pensiero. Potrebbe capitare che la Storia, dopo decenni di cammino rettilineo,
riaccendesse i suoi motori un po’ ingrippati e facesse una repentina svolta ad
U per riprendere la sua marcia. Potrebbe capitare che all’ordine del giorno tornasse
la rivolta. Oggi e non domani. Come urgenza. Come necessità. Come pratica
quotidiana. Certo, potrebbe capitare e tutto questo alla faccia delle mille
bocche spalancate che ormai s’erano convinte che quest’orizzonte non si potesse
oltrepassare. Alla faccia di quei poveri coglioni, e ce ne sono tanti, credimi,
che ormai di quell’orizzonte se n’erano appropriati, chi per ignoranza, chi per
interesse personale, chi per tradimento, chi per incapacità a sognare. Ma
allora a questo punto tu potresti domandarci: se succedesse voi che fareste?
Bella domanda! Noi proveremmo a dirti che, sulle ali di un entusiasmo rinnovato
e presumibilmente colpiti da una frenesia infantile che non ci s’addice, non ci
staremmo a pensare un sol momento. Si! Ci tufferemmo nel vortice del
ribaltamento. Ci immergeremmo nel caos del movimento. E potrebbe anche capitare
che tornassimo a sognare. Fianco a fianco ai ragazzi senza barba, tenendoci per
mano con gli ultimi del mondo, abbracciandoci con i nuovi costruttori di
pensiero non convenzionale. Ma tu potresti chiederci, e non senza ragione, se
non ci sentiremmo inadeguati, fuori posto e persino indesiderati. E noi
potremmo risponderti che si, certo, non ci sentiremmo completamente a casa
nostra ma quella ormai l’abbiamo lasciata da troppo tempo e anche se ci
tornassimo troveremmo solo un mucchio di macerie. Potremmo continuare dicendoti
che ricominceremmo a studiare, a riprendere in mano i nuovi libri e, come studenti
diligenti, a sottolineare le parole. Certo ci metteremmo più degli altri perché
ormai il cervello s’è arrugginito, invischiato in categorie ormai
incartapecorite ma non ci mancherebbe, penso, né l’umiltà e tanto meno la
voglia d’imparare. Insomma torneremmo a scuola dalla gente. Ascolteremmo,
parteciperemmo, sorrideremmo, piangeremmo. Ci saremmo. Un po’ in disparte,
questo è naturale, perché altre sarebbero le generazioni ma… Ma? Potresti
allora domandare. Ma la nostra adesione sarebbe incondizionata, ti
risponderemmo, anche se non capissimo tutto quanto. E alfine tu potresti
domandare se quello che abbiamo detto e fatto non valga un accidente. E noi
semplicemente ti risponderemmo che c’è un tempo per ogni cosa e i tempi sono
diversi gli uni dagli altri. Ti risponderemmo che i sentimenti, i pensieri, le
sensazioni, le disperazioni, gli entusiasmi cambiano e la loro autenticità si
misura nel tempo dato e non in astratto fuori dalla Storia. Quindi non solo
sterile testimonianza bensì prodromi di cambiamento, già. E allora tanto per
finire, alla fonte del re c’erano tre oche che andavano a bè. Tre oche, due
oche, un ochino e… un ochè.
Nota finale del libro LA FARFALLA E L’APE REGINA di Item Maestri – Robin edizioni
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