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SOCIOLOGIA DELLA MODERNITA’: MECCANISMI DI CONSUMO E DOMINIO




 

Qualche tempo fa, passando davanti al Moleskin Cafè in Corso Garibaldi a Milano (come succede oggi, e forse ancor di più, davanti a qualunque altro locale “cool”), si potevano vedere moltitudini di giovani che s’adoperavano sulla tastiera dei loro computer, tutti della mela morsicata. In questa semplice immagine (che appare assolutamente inoffensiva) è racchiusa tutta la potenza del SIMBOLICO nell’ambito del consumo nella società contemporanea. C’è da chiedersi se tutti quei trentenni sono dei progettisti industriali o dei grafici freelance. Immaginiamo di no altrimenti non starebbero lì ma da qualche altra parte a lavorare. Probabilmente stavano “navigando” in rete a cazzeggiare o utilizzando un normalissimo word processor per redigere il proprio curriculum vitae (nel formato europeo, per carità!) nella speranza d’andarci (ovviamente a lavorare).

 

E allora perché tutti avevano un computer Apple e tutti erano seduti al Moleskin Cafè (et similia) visto che quei computer costano il doppio degli altri e il caffè in quel posto era più caro che negli altri bar? In questo caso non è una colpa (ideologica) domandarci: qual è la merce? Il computer Apple e il caffè? No. Il “prodotto computer Apple”, per quei giovani, aveva un valore d’uso inferiore rispetto alle sue potenzialità intrinseche e lo stesso dicasi per il caffè rispetto al prezzo. Insomma se si deve scrivere un curriculum basterebbe un volgare computer Microsoft (molto più economico) e la stessa cosa dicasi se si ha voglia di un caffè. Allora la merce “vera” è il simbolico che ricopre quei prodotti. Insomma è la mela morsicata (logo) e il nome del bar o l’immagine che esso ha (logo). Lo stesso vale per i prodotti della moda o del design (e qui la cosa è ancora più evidente, anzi ne costituisce la ragion d’essere) dove si vende e si “consuma” un’esperienza che diventa merce (status sociale e riconoscimento). Il prezzo è soltanto l’elemento secondario. Per chi vale questo processo di consumo? Solo per coloro che hanno i soldi e quindi se lo possono permettere? No. Vale per tutti, anzi vale ancor di più per chi i soldi non li ha perché viene considerato (ovviamente a torto) elemento di rivalsa sociale (sono povero ma voglio sembrare diverso). Il simbolico d’una merce costruisce, quindi, un immaginario che induce, soprattutto in chi è escluso da un certo stato sociale, l’aspirazione a farne parte.

 

Ma non basta: nelle società con una massiccia presenza di lavoro cognitivo le merci hanno perso la caratteristica della materialità (un bullone, una lavatrice, etc…) a favore dell’immaterialità (una stringa di software, l’articolo di un blog, il “cosa stai pensando” del profilo Facebook, le foto su Instagram). A produrre queste nuove merci non sono i talentuosi e meritevoli ingegneri californiani magari ben retribuiti, ma gli utenti stessi, che attivano un processo di socializzazione del lavoro non pagato. Si produce una disseminazione del lavoro, ovvero si continua a lavorare e produrre ricchezza (non per noi), così ogni interazione che ha luogo fuori dall’orario di lavoro, assume la forma di una donazione, non viene contabilizzata come lavoro e quindi non può essere retribuita. Questa è la nuova frontiera dello “sfruttamento”: la dilatazione spazio-temporale senza limiti della propria prestazione. In questo scenario ogni operazione svolta a titolo gratuito, ogni interazione sul web, generano un plusvalore assoluto (totale). Il paradosso si compie se si pensa che i mobilitati, gli utenti/lavoratori, oltre a mettere costantemente a disposizione ore di connessione per rispondere a mail, post e messaggi, si fanno carico finanche dei mezzi di produzione come computer, smartphone, energia elettrica, contratti con gestori telefonici. In maniera implacabile il lavoro viene così collettivizzato e diluito anche all’interno di ogni processo di socializzazione, solo in apparenza scollegato alla giornata lavorativa, sfruttando l’adesione volontaria (inconsapevole?) del singolo. Ma come e perché si può essere sfruttati, dominati, eppur felici? Perché siamo esseri desideranti, appassionati; quello che il Capitale fa nel lavoro, soprattutto cognitivo, è un operazione di asservimento delle passioni ai fini della propria riproduzione, allineando il desiderio di chi viene “ingaggiato” a quello del “desiderio-padrone”. Il Tiranno vuole essere amato!

 

Ma nella società contemporanea il simbolico e lo sfruttamento vanno sempre a braccetto con la ritualità. Il RITO nella modernità si può definire come un processo ATTIVO di riconoscimento d’una comunità basato sulla liturgia e sulla ripetizione nel tempo (entrambi questi aspetti sono fondamentali). Attivo perché, nella sua concretezza comportamentale, CREA (cioè non rispecchia un fenomeno sociale spontaneo ma costituisce, determina) il senso di quella comunità. Inoltre esso richiede che sia una moltitudine che lo espleti e non il singolo, che costruisca una sua liturgia, vale a dire una modalità di espletamento e infine che sia ripetitivo nel tempo. E questo vale per tutti i “rituali sociali” in tutti i tipi società, da quelle più antiche a quelle contemporanee. Un singolo individuo, per esempio, che va a bere un bicchiere di vino una volta ogni tanto con gli amici prima di cena è l’esempio di un bisogno sociale ma una moltitudine (comunità), grande o piccola che sia, che spesso (ripetitività) riempie i tavolini dei locali per fare “l’happy hour” (liturgia) è un rito e quindi diventa uno strumento di riconoscimento e di identificazione. Esso NON è l’espressione del bisogno sociale collettivo di bere un bicchiere di vino bensì l’opposto, ovvero determina il bisogno del bicchiere di vino in quanto così ti riconosci e fai parte d’una comunità. Insomma se non ci sei non sei, se non lo fai non esisti. Ecco allora un piccolo esempio attraverso cui si esplica la microfisica del potere (rileggere Foucault). Vale a dire un comportamento sociale ritualizzato costruisce un meccanismo di controllo sociale (controllo del conflitto) diventando, insieme ad altri fattori (vedi la spinta al consumo attraverso il simbolico), cultura egemone.

 

Per conoscere meglio i meccanismi di dominio e controllo della società contemporanea (soprattutto nell’ambito del digitale) consigliamo la lettura de LA VALLE OSCURA di Anna Wiener pubblicato da Adelphi: una cronaca angosciante del lavoro nella Silicon Valley.


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