Per una Selva (oscura)
ché la diritta via era smarrita, quelle pagine ce le ritrovammo nelle… nostre mani.
Poca cosa, trenta paginette, strampalate e disordinate. Le pesammo: nemmeno
mezzo libro, al massimo un racconto. Il cestino, subito, ci indusse in tentazione,
era lì, affamato, che aspettava di cibarsi dei nostri scarti. Ma una voce presuntuosa,
che usciva da un foro dell’Inferno, cominciò a dire: Che fate? Non dite che
siete la CRITICA, che siete NESSUNO, l’ODISSEO che vuol capire la realtà, che
il vostro percorso è di felicità? Appunto, ci siamo detti, più convinti che mai.
Possiamo giudicare dal peso? Non è da noi! Un grammo può contenere un mondo
mentre una tonnellata può esser vuota. Lo facemmo: leggemmo quelle poche
paginette: una vita zampillava.
In mezzo al
Sahara della letteratura, dove l’acqua che regala la vita è un miraggio
menzognero, scorgemmo (forse orbati dai nostri stessi intenti, chi lo sa?) una
sorgente: fresca, vivace, saltellante. Una esilarante rappresentazione di
guitti sul loro carretto sgangherato di comici della Commedia dell’arte. Ma la
parola/malattia dell’elitario cenacolo editoriale che detta le leggi del valore
(che noia!) ogni tanto si faceva strada anche nelle nostre menti (mica crederete
che ne siamo immuni? Non lo neghiamo, anche noi siamo deboli e qualche sintomo l’avvertiamo):
che dicono queste quattro paginette? Sproloquiano? Dove sta il plot (Mmm… il
plot? Subito abbiamo consultato la Treccani: anglicismo adoperato nel
linguaggio della critica letteraria per indicare la trama, l’intreccio di un
romanzo)? Chi l’ha scritte (le paginette) è uno fatto, parla (tenere a mente il verbo) solo a
chi è fuori di testa come lui. Insomma
questa non è letteratura bensì linguaggio orale, sciatto e, per di più, con
qualche “cazzo” di troppo. No, no, non si può fare. Così ci diceva quella voce
(e quanto parlava!). Vattene voce, chi sei? Cosa vuoi da noi? Alla fine le
abbiamo detto. Non lo vedi che in queste parole c’è la vita? Vita ai margini ma vissuta! Che ce ne frega
del “plot” (?), di qualche parolaccia, del tempo che va per conto suo? Che ce
ne frega se mancano i fioretti alle parole, gli scimmiottamenti culturali
(ah, l’erudizione!), lo stile ricercato? E nemmeno della
leggibilità ce ne importa niente (questa, poi, ci fa accapponar la pelle, brrr...). Il
lettore non capisce? Pazienza! È sua libertà approfondire e se proprio non lo vuol
fare... amen! Ma se qualcuno avrà la curiosità di guardare potrà
scoprire che quella carne è viva.
Questo nella nostra
valutazione iniziale, ma… sempre trenta paginette rimanevano. Occorreva dare
forma al contenuto (altrimenti l’editore che ci sta a fare?). Bisognava
supportarlo, aiutarlo, farlo esplodere, bum! Spremere da quel materiale grezzo
linfa d’ambrosia. E qui il segreto è stato negare la prima persona singolare
per abbracciare quella plurale. In fondo il NOI è un IO all’incontrario con
davanti un NO, no? Siamo fatti così, che ci possiamo fare? E allora pensa che ti ri/pensa
(e discuti che ri/discuti) abbiamo detto: rendiamola un Opera multi/disciplinare! Un meta/testo! Direbbe subito qualcuno del cenacolo di cui
sopra che crede d’aver ricevuto il dono della parola bella da un’entità divina
(bella poi è tutto da vedere). E allora perché non inserire una iconografia,
una grafica e testi di supporto a complemento di quelle quattro paginette? Già.
Ma come? Per prima cosa ci siamo detti che per noi qualsiasi elemento
didascalico, qualsiasi spiegazione, sarebbero stati il Diavolo (e peccato che il
Diavolo venga sempre usato in questa accezione perché ci sta simpatico). Quindi
se vogliamo usare altri elementi, questi devono avere ognuno un contenuto, un
significato autonomo dalla parola (insomma la forma doveva diventare un
contenuto). Che dite? È semplice? La fate facile voi! Allora ci siamo
immaginati l’autore di quelle trenta paginette, con il fumo che gli usciva
dalle orecchie come fosse una locomotiva (forse la stessa di Guccini), tutto preso da un furioso impeto creativo
SPONTANEO, a battere su una vecchia macchina da scrivere col nastro consumato
quello che gli passava per la testa. Così, di getto. Quello che gli veniva lo
scriveva, senza punteggiatura (o poca e quella poca anche sbagliata),
fregandosene della sintassi e tanto più delle buone maniere (letterarie). E lo scriveva sui
fogli bianchi d’una risma che da anni ammuffiva in un cassetto. Ma il suo
viaggio allucinato non riguardava i tormentati amori delle belle figlie di
madama dorè (oh, quante belle figlie…) bensì la Storia (notare: con la S
maiuscola). Una Storia di cento anni fa, in una terra di confine (tra Trieste e
Fiume) dove il protagonista era stato scaraventato passando attraversando un
tunnel (è una metafora? Fate voi). Ma Alan, il protagonista, uno sbandato dei nostri
tempi, quella Storia la vede con uno sguardo dal basso, da sotto, dalla parte
dei perdenti e mai dei vincitori. Incontra personaggi veri che, però, sembrano
falsi tanto sono fuori di testa e si ritrova in situazioni picaresche che il più delle
volte appaiono improbabili.
E allora che ci
siamo inventati? Un “romanzo brevissimo” (poi alla fine le pagine sono
diventate 140 e quindi tanto breve non è) stampato su carta di un bianco
assoluto (cosa singolare per un libro) con un carattere grafico di una macchina
da scrivere col nastro consumato punteggiato da immagini storiche che sono vere
ma che sembrano false oppure immagini false che sembrano vere. Immagini psichedeliche che emergono dal "tunnel". Ma questo non ci
bastava. Chi era Alan, il protagonista? Occorreva presentarlo, serviva una
biografia! L’abbiamo aggiunta: appare falsa ma è vera oppure viceversa, fate
voi. Servivano pure le biografie di alcuni personaggi storici minori che pochi,
pensavamo, conoscessero. Anche queste vere ma all’apparenza false. E per tutti
coloro che, pedanti, avrebbero rotto le palle per la mancanza di una cronologia
dei fatti storici abbiamo aggiunto anche una mappa temporale. Eccoli
accontentati, alè! Ne è uscito un libro di cui siamo orgogliosi (ci accontentiamo di piccole soddisfazioni), s’intitola IL
TEMPO NON HA UNA STORIA, “romanzo brevissimo” di Ivan Bormann.
Per consultare il libro:
http://www.libreriadelmondooffeso.it/negozio/edizioni-del-mondo-offeso-c120098008
Immagine: Hieronymus Bosch - Unto dal Diavolo
Commenti
Posta un commento