Ma davvero non
c’è più niente da fare? Questa è la
domanda che ci rimbalza nella testa come una pallina impazzita che cerca di
trovare una via per uscire, magari dalle orecchie. Di fronte a come è combinato
il mondo con le sue ingiustizie, le sue violenze, le sue guerre, le sue
malattie, il suo cammino di autodistruzione in cui, a passi svelti, s’è avviato
la domanda è davvero legittima. Per di più nel nostro “giardino di casa” prevedibilmente
ci aspettano tempi che dire bui è un eufemismo. Con la Destra al governo non è
difficile prevedere limitazioni ai diritti civili e sociali, un aumento delle
sperequazioni dove sempre più persone faticheranno a campare mentre i pochi
super-ricchi saranno sempre più ricchi. Soprattutto ci aspetta un controllo su
tutti gli strumenti della vita culturale, dall’informazione alla letteratura,
al teatro, al cinema, alle arti in genere per non parlare della scuola e dell’università.
E allora che fare?
“Ecco una
domanda angosciosa, che mi viene di pormi dopo aver letto e ascoltato tanti
intellettuali e artisti italiani, e discusso con loro. Nei più intelligenti e
stimabili, nei più esigenti e coerenti, è diffusa una convinzione che
dichiarano oggi serenamente, come un dato di fatto irreversibile,
incontrovertibile. Il mondo è arrivato a pochi passi dalla fine, essi pensano,
e ogni tentativo di azione, ogni possibilità di riuscire a cambiare il corso
delle cose, è inane, è superfluo, non serve a niente. Nel mentre giornalisti e
politici si ostinano a credere e a farci credere che ‘tutto va ben, madama la
marchesa’, come recitava una proverbiale canzonetta francese mentre stava
scoppiando la seconda guerra mondiale, e nel mentre ‘il popolo’ si beve le loro
chiacchiere e pensa – quando si azzarda a pensare con la propria testa, e
questo non succede spesso – ai fatti propri, alla mera sopravvivenza del
proprio ‘particulare’, i più intelligenti tra i nostri artisti e pensatori
sembrano ossessivamente preoccupati solo di apparire e di avere, o si
comportano come ‘il popolo’ esprimendo una saggezza che invita all’abbandono di
ogni concreta speranza nel futuro. Di conseguenza ‘a cedere le armi’, ad
aspettare la fine dedicandosi alle proprie opere, e a godere di quel tanto che
rimane ancora da godere.” (da “l’oppio del popolo” di Goffredo Fofi edizioni
Elèuthera).
E così continua
Fofi: “Cosa rispondere, dunque, ai più lucidi tra i nostri intellettuali e
pensatori e artisti se non quello che da tempo immemorabile, quando non si
pensava che il genere umano potesse avere fine, qualcun altro ha sostenuto con
forte persuasione: si, forse il mondo è del male, forse l’umanità non vuol
saperne del libero arbitrio e della difficoltà che comporta lo scegliere
l’altra parte, la parte del bene? Ma questo a noi non piace e non l’accettiamo,
a questo stato di cose diciamo di no operando nella direzione contraria, nella
direzione del bene.
E poi, citando
un suo intellettuale di riferimento: “…mi dicono che il pesce grande mangerà
sempre il pesce piccolo, che ci saranno sempre la malattia e la morte,
l’ingiustizia e l’esclusione, la violenza e la guerra, ma una realtà come
questa non va accettata, e bisogna far tutto quel che si può per cambiarla, con
quei mezzi che non ne perpetuino le logiche. E proprio in tempi brutti come
quelli in cui ci hanno precipitato, e proprio perché temiamo che possano essere
gli ultimi o i penultimi, che bisogna – più fermamente e più convinti che mai –
dichiarare la nostra non-accettazione, cercando di trovare in quest’azione
coloro che sentono come noi, e aiutando gli altri a sentire l’urgenza delle
scelte più attive.”
È ciò che dice
Fofi che noi intendiamo, nel nostro Manifesto dei valori, per “agitazione
culturale” declinandolo nell’ambito della Letteratura, oltre che nella vita di
ognuno di noi. Infatti per noi la Letteratura è innanzi tutto uno strumento per
capire il mondo e, così facendo, per cambiarlo. Secondo noi oggi c’è l’urgenza
di squarciare la cappa dell’omologazione indotta dal pensiero unico dominante,
l’oppio del popolo appunto, per rintracciare frammenti di pensiero critico per
poi trasformarli in azioni.
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