Riportiamo un articolo di Guido Viale uscito su comune-info.net. Secondo Guido Viale è importante risalire indietro nel tempo per misurarsi con il presente e proiettarsi nel futuro. Tuttavia, questo esercizio diventa ricco di senso se parte da due presupposti, spesso dimenticati. Il primo: la guerra non è un evento ma un processo e comincia ben prima del suo scoppio. Il secondo: anche la pace è un processo. E non ha mai fine.
Che cosa sarebbe successo se, di fronte all’invasione dell’Ucraina, giunta fino a Kiev, Zelenski fosse fuggito, o si fosse arreso? O la Nato non gli avesse fornito tutte le armi che gli ha messo a disposizione? È l’argomento “forte” che tutti i favorevoli a riempire di armi l’Ucraina ritengono risolutivo. Non si può non rispondere. Ma l’alternativa a una resa di Zeleski non è, e non era nemmeno allora, la resa di Putin. Questa è la visione di chi nel proprio orizzonte non ha che la guerra.
È certamente giusto che la storia si
faccia con i se. I “se” aprono l’orizzonte a molteplici possibilità, spezzando
la rigida concatenazione degli eventi che riduce la libertà umana a necessità.
Ma proprio per questo occorre aprirsi a una molteplicità di se: risalire
indietro nel tempo, misurarsi con il presente e proiettarsi in avanti nel
futuro. La guerra non è un evento
ma un processo; che comincia ben prima del suo scoppio e spesso si
trascina oltre la sua conclusione. Ma
anche la pace è un processo, che si svolge sia in tempo di guerra che
pace. E non ha mai fine.
Andiamo indietro nel tempo
Dunque, andiamo all’indietro: che cosa sarebbe successo se gli accordi di
Minsk fossero stati rispettati da entrambe le parti? Se le potenze
che li avevano promossi, o l’Onu, li avessero fatti rispettare, invece di permettere
che una guerra mai dichiarata andasse avanti per anni in una regione
dell’Ucraina, preparando quella che sarebbe venuta dopo? Rispetto alla
situazione attuale entrambi i contendenti si sarebbero risparmiati migliaia di
morti e la distruzione, che andrà avanti, di un intero paese, senza che una
sovranità nazionale rispettosa delle minoranze e delle autonomie ne avesse da soffrire. Era quanto Zelenski aveva promesso in campagna elettorale e non ha
rispettato; pressato da poteri e organizzazioni che ne hanno condizionato il
governo.
E, continuando ad andare
all’indietro, che cosa sarebbe
successo se la Nato avesse rinunciato ad annettersi tutti gli Stati sottrattisi
al dominio sovietico, come era stato promesso a Gorbaciov, ma anche
raccomandato da numerose personalità di “fede” atlantica; se non avesse
continuato ad “abbaiare” alle frontiere della Russia con esercitazioni militari
sempre più minacciose; se non avesse fatto quanto in suo potere per raggiungere
l‘annessione dell’Ucraina, e poi della Georgia, e di altro, con l’evidente prospettiva di smantellare la
Federazione Russa? Ma è una scelta che quegli Stati avevano
compiuto autonomamente, se non proprio democraticamente, si obietta. Sia pure,
ma in una prospettiva di crescente contrapposizione e di un confronto sempre
più serrato tra grandi potenze, invece della promozione di una cooperazione che
era di primario interesse per tutta l’Europa. D’altronde la Nato è una gabbia da cui, una volta
entrati, è impossibile uscire; perché trascina i suoi membri in
conflitti che nulla hanno a che fare con i loro interessi; e perché le classi
dominanti trovano in quell’affiliazione un puntello inaggirabile del loro
dominio.
Facciamo un altro passo indietro.
Più o meno cinquant’anni fa – è stato critto – una potenza nucleare come gli
Usa aggredivano uno Stato e nessuno di noi contestava il suo diritto di resistere con le armi. Gridavamo
“Vietnam vince perché spara” e forse molti di noi oggi non lo griderebbero più.
Il Vietnam ha vinto:
hanno vinto le sue classi dominanti. Ma il Fln (Fronte di Liberazione
Nazionale) ha perso, inghiottito da chi aveva più armi per combattere gli Usa.
Quel conflitto, comunque, non era mai assurto a confronto diretto tra potenze
nucleari, nonostante l’appoggio che Urss e Cina fornivano ad Hanoi. Nessuno
però si era o si sarebbe mai dichiarato contrario a un cessate il fuoco
immediato prima che le truppe statunitensi si fossero ritirate dal paese. E se
un cessate il fuoco avesse avuto luogo, forse in Vietnam si sarebbe potuto
arrivare a una soluzione soddisfacente prima che il coinvolgimento di Hanoi
creasse le condizioni di una mera annessione.
Prima di tutto mediare
Ora, venendo al passato recente,
certo Putin pensava di ripetere l’operazione che era riuscita a Breznev con la
Cecoslovacchia di Dubcek e, vedendola fallire, si è vendicato lasciando mano
libera o ordinando alle sue truppe di compiere ogni sorta di infamia (non che
il nemico aggredito sia andato con la mano leggera; né prima né dopo
l’invasione. Ma è la guerra…). Comunque, l’esercito e le milizie ucraine
avevano già ricevuto armi a sufficienza (usate nella guerra al Donbass) per
resistere a un esercito numericamente, se non tecnicamente, superiore. Ma
nessuno ha mai contestato all’Ucraina – all’Ucraina; non alla Nato – il diritto
di resistere ed è chiaro, ed era chiaro anche allora, che Putin non ha le forze
per occupare e tener sotto controllo tutto il paese. Senza una resa di Zelenski
si sarebbe comunque sviluppata una situazione di conflitto endemico su molti
fronti ed è lì che occorreva intervenire: non con le armi, ma con una proposta di mediazione che
aggiornasse gli accordi di Minsk alla luce della nuova situazione. Proposte in
tal senso – peraltro irrise – sono state avanzate recentemente, come base di
partenza di un possibile negoziato, sia da alcuni intellettuali che da un
gruppo di ex diplomatici.
Ma chi
poteva, e doveva, promuovere quella mediazione? Non certo Erdogan, che ha le mani altrettanto
insanguinate di Putin; né Xi
Jinping, che non ha certo interesse ad alienarsi la Russia in una
prospettiva di crescente conflitto con gli Usa. Avrebbe dovuto farlo la Ue, che aveva tutto l’interesse a non far
precipitare la situazione e aveva e ha delle carte da giocare, a partire
dall’ingresso dell’Ucraina nell’Unione, ma senza Nato, e dei suoi commerci con
la Russia. Ma non lo ha fatto perché le sue classi dirigenti sono totalmente
asservite alla Nato, che rappresenta gli interessi esclusivi degli Usa che dal
conflitto in Ucraina non vengono minimamente danneggiati. Non è stato fatto;
e nessun governo o partito di
opposizione degli Stati dell’Unione europea ha portato avanti una proposta o
una rivendicazione in tal senso. Perché? Perché i mediatori non possono armare una delle
parti. È una cosa elementare ma che nessuno, a partire dal favoloso Draghi,
sembra aver capito.
Un conflitto sempre più armato
E ora? Ora la consegna massiccia
all’Ucraina di armi sempre più potenti ha completamente cambiato il conflitto,
trasformandolo in un confronto diretto tra Federazione Russa e Nato. Sono armi
non solo costosissime, ma che per funzionare hanno bisogno di assistenza: di
istruttori, contractors e consulenti stranieri, dei droni di
Sigonella, dei radar del Muos di Niscemi, dei satelliti di Musk (un esempio
istruttivo di partnership pubblico-privato) nonché di una stampa asservita, che
è un’arma potentissima, in gran parte del resto del mondo. Si farà la pace, a qualsiasi condizione, solo
quando e se quella guerra non converrà più al governo degli Stati Uniti. Rischiando
nel frattempo l’ecatombe nucleare. Perché Putin non è un pazzo; ma è uno
che per la posizione che occupa non può permettersi di perdere come se lo
poteva permettere invece il governo degli Stati uniti in Corea, in Vietnam e in
Afghanistan, in Siria.
E in
futuro? Il futuro è tutto della crisi climatica che incombe e incalza su tutto
il pianeta. Se l’Olocausto nucleare è una possibilità, tutt’altro che remota,
la catastrofe climatica, senza misure radicali, è invece una certezza assoluta. Coloro che promuovono le armi
(e non solo all’Ucraina; quanto di questo fervore bellico ha contribuito ad
alzare i budget della cosiddetta difesa e ad allontanare il bando delle armi
nucleari votato dall’Onu?) sono un esempio palese di dissociazione mentale.
Molti di loro sanno perfettamente che la crisi climatica è alle porte. Ma ce ne
si occuperà “dopo”: dopo la vittoria su Putin. Cioè mai. Esattamente come fanno
i negazionisti: quelli tetragoni come quelli che lo sono nei fatti; cioè tutte
le classi dirigenti del mondo.
La guerra e il clima
E invece no. La lotta contro la crisi climatica – per
arginarla, non certo per sventarla, dato che ormai è irreversibile – è
innanzitutto una lotta per la pace, contro le guerre e contro le armi;
contro le loro emissioni, che sono enormi; contro le loro distruzioni, che
esigono di produrre nuove armi, di ricostruire case, impianti e infrastrutture
nuove con altro consumo di materiali ed energia; che degradano il suolo e
miliardi di esseri viventi indispensabili all’equilibrio ecologico del
pianeta. Ma il passaggio obbligato
è sempre lì: nella comprensione che l’autonomia di una comunità non è un’offesa
alla sovranità di un popolo, ma la sua esaltazione. Che i confini non sono
barriere da sacralizzare ma faglie sopra cui gettare ponti. Che le armi
prodotte e vendute, comprese quelle nucleari, chiedono di essere usate: in
sempre nuove guerre. Quante più armi, tante più guerre. Quanto più
letali, tanto più rampa di lancio dell’apocalisse.
La CoP27
sui cambiamenti climatici aperta domenica a Sharm el Sheik sotto il patrocinio
di Al Sisi e – non solo per questo – destinata comunque al fallimento, potrebbe
riscattarsi dal pantano in cui è affondata questa partita mettendo in chiaro
una volta per tutte una cosa sola: che la lotta contro la crisi climatica
comincia da quella contro guerre e armi. Sarebbe un grande successo.
GUIDO VIALE è stato un
leader della protesta studentesca nel sessantotto a Torino. Fu in seguito
dirigente di Lotta Continua. Si è laureato nel 1978 in sociologia industriale
presso la facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Torino. Si occupa
di ricerche economiche, sociali e di politiche attive del lavoro in campo
ambientale. Da anni, in qualità di esperto, interviene sulle principali testate
nazionali per parlare di ambiente, economia e modello di sviluppo.
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